giovedì 6 gennaio 2011

Le donnine di Premdan

Il primo giorno che sono arrivata a Premdan l'ho trovato un luogo brutto, pieno di sofferenza e di donne malate che urlavano, curate si dalle suore ma maltrattate dalle masi, le donne indiane che lavorano nella casa (es: le donne che non riescono ad andare in bagno da sole vengono fatte sedere su una sedia bucata con sotto una bacinella e legate strette con un nastro allo schienale della sedia vengono lasciate li forse anche ore...oppure: l'altra giorno una vecchietta si e' fatta la pipi addosso e la masi l'ha presa per il braccio e l'ha letteralmente trascinata per tutta la sala mentre la vecchietta, senza neanche le mutande, lanciava urla acute).
Ora invece mi rendo conto di quanto Premdan sia un'oasi di pace rispetto alla vita esterna: ogni singolo lenzuolo e vestito viene lavato ogni giorno, ogni mattina le donne sono lavate, ricevono pasti abbondanti e variati, vengono medicate. Quelle che non sono piu autosufficienti o che non hanno nessuno che possa/voglia prendersi cura di loro hanno la possibilita' di restare li per sempre.
Ora che sono un po' di giorni che andiamo li stiamo anche imparando a riconoscerle e a conoscere le loro abitudini:
ci sono le due donne trasfigurate dall'acido ma lucide di testa con richieste precise, ma spesso un po evitate dalle volontarie per colpa del loro aspetto spaventoso;
c'e' Fatima, la prima con cui ho avuto un contatto e che trovo gia' migliorata rispetto alla settimana scorsa, che fa  solo versi ma ama farsi accarezzare la testa e coccolare;
c'e' la donna con le mani di mia madre e la sua amica  che sono delle grandi chiacchierone, noncuranti del fatto che non posso capirle;
c'e' la donna con un tumore che le ha fatto diventare la pelle dello sterno durissima, come un carapace, e che secondo un'infermiera morira soffocata per questo;
c'e' una donna tutta storta e sdentata ma simpaticissima che ripete le nostre parole in italiano e la cui risata s'assomiglia un po' a quella di Pippo.
L'altra sera chiacchierando con altre volontarie ticinesi ci meravigliavamo di quanto riusciamo a comunicare con loro nonostante il problema della lingua: una volontaria ha capito esattamente come un'ospite vuole che siano posizionati cuscino e coperte quando va a dormire, la Simo l'altro giorno ha capito che la donna che stava imboccando (cieca) voleva mangiare solo le patate e non il riso.
Io sono fierissima delle quattro parole che so dire in hindi che spesso mi permettono di capire cosa vogliono le donnine: ieri addirittura una volontaria argentina mi ha chiesto di interpretare i blatermanti bengali di una donnina convinta che la capissi! Magari potessi capirle, conoscere le loro storie...una volontaria mi ha detto che lei ha fatto grandi discorsi con una donna, lei parlando in italiano e l'altra in bengali, ma io non riesco: quel tipo di contatto mi manca. Riesco solo a incremare la loro pelle fragile e screpolata, fare loro lo smalto nei colori piu assurdi, distinguere se vogliono andare in bagno o lavarsi le mani, se vogliono altro cibo o un bicchiere d'acqua. Anche se forse per loro, dopo una vita di emarginazione e indifferenza, e' gia' molto.

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