lunedì 3 gennaio 2011

Anghel, anghel!

La parola che piu' ho sentito a Naba Jibon e' stata "Anghel". "Anghel", gridavano i 200 bambini (osservandoli riconoscevi il loro carattere: il timido, il prepotente, lo sfrontato, il dolce, lo spaventato, ...) quando abbiamo cominciato a prenderli in spalla facendoli giocare. Una gioia vera, la loro, una commozione grande, la nostra. "Anghel" gridavano anche quando distribuivamo loro il pasto, forse l'unico vero pasto della settimana. Non gridavano pero' "anghel" quando li abbiamo messi sotto la canna dell'acqua e li abbiamo insaponati. Anche perche' e' una giornata freddina, stamattina abbiamo dovuto perfino indossare il pullover. Alcuni tremavano di freddo e si sono subito rivestiti. Dei vestiti sporchissimi, che sembravano stare in piedi da soli da tanto erano rigidi. "Anghel" credo proprio voglia dire, in lingua bengali, "ancora". Dateci ancora un po' di spensieratezza, dateci ancora un po' da mangiare. Fuori dal cancello erano ammassate altre persone che guardavano dentro e chiedevano di poter entrare. Certamente avrebbero voluto anche loro poter gridare "anghel"!

P.S. Ho scoperto che la televisione esiste anche negli slums di Calcutta. Un ragazzino sui 10 anni mi ha guardato dritto negli occhi, ha puntato il dito e si e' messo a gridare: "Mr. Bean, you are Mr. Bean!" ed e' scoppiato in una sonora risata.

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